Il risultato non è l’unico parametro da tener presente nella leadership. Gli insuccessi vissuti nella nostra vita personale o professionale non sono mai insuccessi totali. Nell’agire abbiamo sempre qualcosa che ci aiuta a migliorare. Sempre possiamo trarne un insegnamento positivo per la mia vita; almeno, sappiamo cosa dover evitare la prossima volta per migliorare la performance sportiva, per preparare al meglio un esame o un colloquio di lavoro, per convincere il capo a seguire una linea di azione, ecc.
Penso che ci possa aiutare a comprendere come il risultato non è l’unico parametro da tener presente nella leadership, vedere la differenza tra l’agire e il fare, la prassi e la poiesi.
1. Agire– significa “esercitare un’azione”, ed è centrato nel soggetto che agisce. Non è un generico fare; aggiunge qualche azione di personale. E’ un “fare attivamente, muoversi” . Corrisponde al termine greco prassi, cioè un’azione con effetti immanenti nel soggetto. Qui l’accento è non tanto sull’azione come sul soggetto che agisce. Soggetto che viene in un certo senso trasformato dall’azione che realizza. Dopo “agire” sei diventato più bravo, più efficace, più competente, più preparato, più intraprendente, o più (purtroppo non sempre va in senso positivo) egoista, meno fiducioso… E questo succede perché il susseguirsi di azioni, creano un abito, una tendenza ad operare, ad agire in un determinato modo. Tanto è cosi che con l’abitudine io dico di una persona che è brava, efficace, competente, preparata…, perché abitualmente realizza azioni che la qualificano in questo senso.
2. Fare– significa nell’accezione più universale “costruire, produrre”. In questo caso, più che sulla persona che “fa”, l’accento è sul “cosa fa”, cioè, sul risultato della sua azione. Qui non mi interessa se sei diventato più bravo dopo aver realizzato un eccellente piano di marketing che ha permesso un aumento nelle vendite, ma che esse sono aumentate veramente del 25%. Equivale alla parola greca poiesi: azione con una ripercussione esclusivamente esterna al soggetto: il risultato. In questo caso l’abitudine non mi interessa, valuto solo l’azione, il risultato ottenuto.
Nelle due immagini si presenta in modo schematico quando detto in precedenza.
Sono dell’idea che nella leadership tutte e due siano importanti e complementari. La divisione precedente in realtà è puramente mentale. Noi non abbiamo fatto altro che dividere in due -per motivi pedagogici- un’unica azione. E’ come il medico che per spiegare i sintomi di una influenza parla del mal di testa, poi approfondisce nella temperatura, e infine della poca voglia di mangiare. È vero che normalmente c’è un forte dolore, ma non è mai il solo sintomo. Insieme a quel dolore c’è anche un malessere generale. Per capire bene la malattia, devo isolare i vari sintomi che in realtà agiscono quasi sempre tutti insieme. Se il nostro oggetto di studio è invece l’inflazione, per capirla fino in fondo mi è di aiuto isolare le sue possibili cause: aumento della domanda, diminuzione dell’offerta, forte aumento dei prodotti necessari per le produzioni: petrolio, materie prime, ecc. Probabilmente, questi fattori possono agire, ed influire quindi, contemporaneamente o singolarmente nell’aumento dell’inflazione. Al fine di comprendere bene il processo, interessa studiare isolatamente ogni causa. Con la differenza tra l’agire e il fare, la prassi e la poiesi, l’abitudine e l’azione, non ci sono due cose diverse: da una parte la persona e dall’altra il risultato. Ottenendo un risultato, nel senso visto precedentemente, trasformo anche la mia persona.
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